Crisi di identità Non ha portato fortuna al Cavalier Silvio Berlusconi il modello del partito unico del centro destra. Quando Forza Italia costruì una coalizione politica nel 2001 rimase al governo per cinque anni, con pregi e difetti. Appena costruì il partito unico fece si il boom alle elezioni, ma tempo due anni Berlusconi si ridusse a governare grazie a Razzi e Scilipoti e fu costretto alle dimissioni. Da quel momento anche riprendere la bandiera originaria, quella di Forza Italia abbandonata per il Pdl, non ha portato a granché ed il sogno maggioritario è precipitato definitivamente nel voto in Emilia Romagna e Calabria. Salvini prende più voti. A questo punto, se Berlusconi è capace di un qualche soprassalto di realismo si chiederà a cosa mai gli serve il patto del Nazareno. Il quale aveva un senso se egli poteva essere, se non la prima forza, almeno la seconda, o se proprio andava male la terza. Ma se domani rischia di essere la quarta, Berlusconi escluda tranquillamente di poter contare granché. Qualunque accordo prenda oggi davanti ad un risultato elettorale così modesto, non potrà mai essere rispettato. Troppo ampio il divario politico. E’ vero che le elezioni regionali non sono un test probante per Forza Italia, ma i risultati conseguiti sono andati oltre le peggiori aspettative e se Berlusconi non vuole confidare in promesse irrealizzabili, deve cambiare passo. Non è detto che possa riuscirvi. Si tratterebbe di smentire quanto sostenuto in vent’anni e prendere atto di un gruppo dirigente del partito utile ad obbedire e non più ad elaborare. D’altra parte in situazioni così gravi il panico potrebbe fare più della logica. Ecco allora che il controllo di Forza Italia nella Camere sfuggirebbe di mano e Renzi si troverebbe ancora più forte, nel caso si aprisse la corsa a salire sul carro del governo. Più debole se invece, ci si convincesse che occorre passare con Salvini atoni più duri. In entrambi i casi in questa destabilizzazione post regionali,il voto si fa più vicino. Conviene a Berlusconi serrare le fila con il proporzionale, a Salvini passare all’incasso, a tutti infilzare Grillo e a Renzi stesso che si rende conto di come da qui a tre anni la sua base rischierebbe di liquefarsi come si è visto proprio avvenire in Emilia. Lo scontro all’interno del Pd è stato persino più intenso di quello avvenuto in Forza Italia e la contrapposizione sindacale ha offerto uno scenario a cui l’elettorato emiliano romagnolo non era abituato e probabilmente non si abituerebbe mai. Anche l’identità di sinistra rivendicata da Renzi in un articolo su Repubblica alla vigilia del voto, non ha aiutato. Perché per quanto si comprende che il vecchio elettore comunista dell’Emilia Romagna non può più aspettarsi di trovare Lenin e Gramsci nel proprio albero genealogico, nemmeno può rassegnarsi a considerarsi un discendente di La Pira. Roma, 25 novembre 2014 |